Lode al Signore per gli Strumenti della Comunicazione sociale, cantico di don Alberione

News del 25/05/2014 Torna all'elenco delle news

La loro missione è l’apostolato, la cultura, l’elevazione materiale e spirituale degli uomini e della società… Anche queste invenzioni cantino le tue meraviglie di Creatore e Salvatore… Illumina tutti gli uditori e spettatori a cercare le sorgenti d’acqua viva e rifuggire le cisterne di acqua inviata inquinata… (Noi ) ci impegniamo a usare sempre queste tecniche audiovisive per la nostra santificazione e per l’apostolato" (Preghiere FP, 180; cfr. Spartito musicale "Nuovo cantico delle creature", 4 a di copertina della Rivista).

 

Lode al Signore per gli Strumenti della Comunicazione sociale

(Nuovo “Cantico delle creature” di Don Alberione, il fondatore della Famiglia Paolina)

 

Sia lode a te, Signore

per i frutti del genio dell’uomo che tu poni nelle nostre mani

a servizio dei fratelli e del tuo regno.

Signore Dio, benedetto sii per nostra sorella stampa

che è pane dell'intelligenza e luce dell'anima.

Ti preghiamo, Signore, per tutti i giornalisti del mondo

i disegnatori di fumetti i pittori di cartelloni pubblicitari.

Illumina con la luce tua chi scrive e chi diffonde,

chi stampa e chi legge: umili servitori siano della verità nell'amore.

Lode a te, Signore, per nostro fratello cinema.

Nel suo dinamico narrare intensamente agisce sull'uomo:

ha in sé la forza e il fascino del teatro e della fotografia

della stampa e della parola viva, della musica e della pittura.

Guida, Signore, registi e produttori attori e spettatori

verso ciò che è vero e buono, che canta la vita e costruisce l'uomo.

Signore Dio, benedetto sii per nostra sorella radio

che cammina sulle ali del vento e tanto piccola fa la terra.

Ti preghiamo, Signore, per le radio trasmittenti grandi e piccole.

Questa creatura dell'ingegno umano utilizzata sia per fare gli uomini liberi e fratelli.

Lode a te, Signore, per la televisione.

Questa cattedra che si pone nel cuore d'ogni casa non turbi,

ma alimenti l'armonia della famiglia,

prepari uomini nuovi

per un mondo nuovo fondato sul tuo Vangelo.

Signore Dio, benedetto sii per la telematica e per Internet, rete delle reti, Piazza Grande del pianeta, casa della conoscenza. Ti preghiamo, Signore, che diventi e resti il Sito dove razza e credo, colore e sesso, risorse e culture non dividano l'uno dall'altro, ma gente interagisca con gente in una sola comunità estesa al mondo.

Lode a te, Signore nostro Dio, per il progresso della tecnologia.

Lode a te per tutti gli strumenti della comunicazione

che ieri, oggi e domani poni nelle nostre mani

a servizio dell'uomo e del Regno tuo. 

Amen Alleluia!

 

Quale sarà il criterio ultimo di giudizio dell’apostolo che opera con gli strumenti della comunicazione? Non la gloria personale, non il guadagno, non le tecniche più avanzate, non l’acquiescenza al potere, ma come per Paolo: «Gesù crocifisso, scandalo e follia per gli uomini d’ogni tempo».

Il rude discorso della croce, sull’esempio e la predicazione di Paolo, scelto come padre, maestro e ispiratore, è la migliore e forse l’unica garanzia per utilizzare questi prodigiosi doni di Dio a salvezza dell’uomo e non contro l’uomo.

Don Alberione per i suoi volle poche penitenze tipiche, «senza ricorrere ai cilizi, alle catenelle, ai digiuni», tra esse: il compiere bene l’apostolato della comunicazione in tutte le sue fasi: dalla redazione alla diffusione (cf. Haec Meditare, 2a serie, VI, pp. 66; 71-74); e tutto questo, compiuto nella serietà, nella disciplina, nella più oculata responsabilità. Questa è la croce di questo apostolato, la sua sofferenza più profonda perché quotidiana. Ed ammonisce: «Come Gesù ci ha salvati veramente con la sua passione, così noi ci dobbiamo salvare con la nostra passione» (Haec Meditare, 2a serie, VII, p. 130).

Spiritualità semplice, lineare, che non sembra avere un aspetto austero, «ma in realtà esige una più grande austerità. In quasi tutti i campi la moderazione è più difficile dell’astensione. Utilizzare tutti i valori umani al servizio di Dio esige una maggiore vera rinunzia che non scartarli completamente. Nell’uso dei valori umani e nello sviluppo della personalità non potrà essere assicurata questa austerità interiore se lo spirito non è fissato in Dio in modo stabile e radicale» (J. Leclercq, citato in Mi protendo in avanti, Alba 1954, p. 65).

Nel suo pensiero i mezzi della comunicazione sociale possono essere posti a servizio dell’uomo e della sua salvezza nella misura in cui gli operatori di essi sono profondamente radicati nello spirito del Cristo crocifisso, più che mai necessario, in un mondo insidiato dal benessere, caratterizzato dalla secolarizzazione e preda della più sfrenata permissività.

Don Alberione il discorso della croce l’ha vissuto in termini «eroici», per l’intensità e la continuità. Scrive a 18 anni, nel suo diario spirituale: «Chi non è forte tanto da sopportare con pace ed amore una croce, chi non ha forza di vincere una difficoltà, chi non persevera, e caduto, respinto non torna all’assalto, non può impadronirsi del cielo, perché questo è alto e quindi bisogna salire i monti della penitenza, delle croci, del Calvario, per giungervi» (Diario Giovanile, pp. 35-36).

In una delle poche confidenze sfuggitegli dettando la meditazione avverte: «Notate bene che senza sacrificio non si fa niente. “Sine effusione sanguinis non fit remissio...” (Eb 9, 22). Questa è una delle prime frasi su cui ho riflettuto quando la Famiglia Paolina era solo in cuore. Senza la croce non si fa niente» (Prediche del Primo Maestro, gennaio-dicembre 1955, p. 151). Significativo anche che, nei suoi scritti conosciuti, si trovi ripetuto 150 volte il versetto della lettera ai Galati: «Sono crocifisso con Cristo sulla croce e non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me» (2,19-20).

Nel silenzio degli esercizi spirituali dell’aprile 1954, annotava: «Il Crocifisso è nostro modello... è anche scudo, forza... Ci mette in stato di rinuncia, zelo, purezza, rettitudine, amore verso Dio, distacco. Abbracciando con gioia la croce di Cristo, si diviene corazzati contro i nemici, si mira definitivamente a Dio, si diviene potenti nella preghiera, si vive di una gioia che preannuncia il cielo» (L’Apostolo Paolo, p. 53).

Non era in lui un atteggiamento di circostanza, ma qualcosa che aveva vissuto e inculcato sempre ai suoi. In una meditazione del 1946, diceva: «Nelle famiglie, oltre il Vangelo, si faccia entrare poco a poco il Crocifisso. A Natale si cerca di rappresentare quanto si può al vivo il mistero dell’incarnazione. Il Crocifisso ci deve essere tutto l’anno. Il paradiso è aperto dalla passione; la chiave ne è la croce. E siccome vogliamo entrare in paradiso, bisogna che l’adoperiamo» (Haec Meditare, 2a serie, VI, pp. 111-112). E sempre in quell’anno, ricordava alle Paoline: «Il nostro padre san Paolo parla della croce e del suo valore in ogni sua lettera. Studiamo la sua dottrina per essere veramente figlie di questo padre» (Haec Meditare, 2a serie, VI, p. 163). E perché i membri della sua famiglia religiosa, consacrati a questo apostolato, non dimentichino questo messaggio austero, ma liberatore, volle che in tutte le chiese e cappelle paoline campeggiassero questa parole che gli rivelò il Divino Maestro: “Non abbiate paura. Io sono con voi. Da qui (dal tabernacolo) voglio illuminare. Abbiate il dolore dei peccati”. Cioè lasciate il male e lanciatevi in avanti verso il bene. Allora la croce sarà fonte di liberazione anche per tutti gli apostoli della comunicazione; e gli strumenti che utilizzano, redenti dal loro sacrificio, saranno veicoli validi della “multiforme sapienza di Dio” (Ef 3, 10) per la salvezza degli uomini.

Comunicatori martiri del nostro tempo

Quando negli anni cinquanta Don Alberione inculcava questi orientamenti, faceva notare anche che “occorrono dei santi che ci precedano in queste vie non ancora battute ed in parte non ancora indicate” (Carissimi in San Paolo, p. 807). Oggi, oltre mezzo secolo dopo, conosciamo molti “santi” che, non solo hanno aperto delle strade e le hanno percorse, ma che le hanno irrigate con il loro sangue. È doveroso ricordare alcuni dei più noti come Massimiliano Kolbe (1941), Tito Brandsma (1942), i latinoamericani: Mons. Oscar Romero (1980), Mons. Enrique Angelelli (1976), il gesuita Luis Espinal (1980). La loro testimonianza – martirio! – rafforza l’attualità del discorso di Don Alberione, non solo per i membri della Famiglia Paolina, ma per quanti sono chiamati e impegnati a comunicare il Vangelo oggi agli uomini d’oggi con i mezzi di oggi, senza soccombere a rischi e disagi a cui un simile apostolato espone.

Testo di Benito Spoletini, ssp

tratto da www.alberione.org

(http://www.alberione.org/beatificazione/saggi/spoletini3.htm)