Santo del giorno 8 novembre: beato Duns Scoto
News del 08/11/2024 Torna all'elenco delle news
Beato Duns soprannominato Scoto perchè nato in Scozia sacerdote francescano teologo, beatificato 30 anni fa, il 20 marzo 1993, da papa GiovanniPaoloII che lo definì “Cantore dell’Incarnazione e Difensore dell’Immacolata ”. Il suo corpo riposa nel convento dei frati minori sulla Kolpingplatz a Colonia in Germania.
Nacque tra il 23 dicembre 1265 e il 17 marzo 1266, in Scozia da cui il soprannome «Scoto». La città natale, Duns portava lo stesso nome della sua famiglia. Sin da bambino entrò in contatto con i francescani, di cui tredicenne iniziò a frequentare gli studi conventuali di Haddington, nella contea di Berwich. Terminati gli studi in teologia si dedicò all'insegnamento prima a Oxford, poi a Parigi e Colonia. Qui, su incarico del generale della sua Congregazione doveva fronteggiare le dottrine eretiche, ma riuscì a dedicarsi per breve tempo all'impresa. Morì infatti pochi mesi dopo il suo arrivo, l'8 novembre 1308. Giovanni Duns è considerato uno dei più grandi maestri della teologia cristiana, nonché precursore della dottrina dell'Immacolata Concezione. Giovanni Paolo II lo ha proclamato beato il 20 marzo 1993 definendolo «cantore del Verbo incarnato e difensore dell'Immacolato concepimento di Maria». Le sue spoglie mortali sono custodite nella chiesa dei frati minori di Colonia.
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Martirologio Romano: A Colonia in Lotaringia, ora in Germania, beato Giovanni Duns Scoto, sacerdote dell’Ordine dei Minori, che, di origine scozzese, maestro insigne per sottigliezza di ingegno e mirabile pietà, insegnò filosofia e teologia nelle scuole di Canterbury, Oxford, Parigi e Colonia.
L’entrata sulla scena culturale di Giovanni Duns Scoto coincide con il ventennio che separa la seconda condanna dell’aristotelismo (1277) con il primo decennio del XIV secolo, cioè con quel periodo storico in cui, all’Università di Parigi, si formano le “scuole di pensiero”: quella “domenicana”, intorno a Tommaso d’Aquino; quella “francescana”, intorno a Bonaventura da Bagnoregio; e quella “eclettica”, intorno ad Enrico di Gand e a Goffredo di Fontaines. Duns Scoto, invece di scegliere una di esse, ne fonda una propria, chiamata “scotista”, profondamente innovativa, da essere paragonata, anticipatamente, alla “rivoluzione copernicana”.
La vita
Il profilo biografico di Duns Scoto segue l’indicazione “nazionale”, incisa sul monumento sepolcrale, custodito nella navata sinistra della chiesa di San Francesco d’Assisi, in Colonia, che recita: Scotia me genuit / Anglia me suscepit / Gallia me docuit / Colonia me tenet: (la Scozia mi ha dato i natali / l’Inghilterra mi ha accolto / la Francia mi ha istruito / e Colonia mi conserva).
Le sue origini storiche sono scozzesi, onde l’appellativo di “Scoto”. Tra la fine del 1265 o l’inizio del 1266, nella famiglia di Niniano Duns nasce un bimbo, che al fonte battesimale riceve il nome di Giovanni. Della madre non si conosce né il nome né il casato. Il paese si chiama Duns: omonimia tra cognome e luogo. Il casato dei Duns apparteneva a una ricca famiglia terriera e benefattrice dei francescani, che da poco erano arrivati in quella regione. Dopo la prima educazione ricevuta in famiglia, Giovanni frequentò la scuola della vicino Haddington. A 15 anni, veste l’abito francescano. E sotto la guida spirituale di padre Elia Duns, zio paterno e Vicario Generale per la Scozia dal 1278, trascorre l’anno del Noviziato nel solitario convento di Dumfries, immerso nella variopinta bellezza alpestre e incastonato nella verdeggiante collina sovrastante. Durante la preparazione alla Professione religiosa, nel 1281, riceve la dolce apparizione del Bambino Gesù tra le braccia, come dono della sua semplicità e della sua devozione al mistero dell’Incarnazione. Il decennio 1281-1291 è il periodo della preparazione all’ordine sacerdotale, che riceve il 17 marzo 1291, nella chiesa cluniacense di Sant’Andrea di Northampton, per le mani del Vescovo di Lincoln, mons. Oliverio Sutton. Dopo il sacerdozio, viene designato per il corso di preparazione al Dottorato in teologia, all’Università di Parigi. Così dal settembre 1291 a giugno 1296, frequenta i corsi di teologia all’Università di Parigi.
Le opere
È certo che Duns Scoto, con diversa autorità accademica, cioè da baccelliere e da maestro, ha letto più volte e in diversi luoghi le Sentenze di Pietro Lombardo, e ha esercitato il tirocinio di “lettore” in filosofia ugualmente varie volte e in diversi luoghi. Per analisi critica interna, si deduce che le “opere filosofiche” sono state scritte prima dei “commenti teologici”. Le testimonianze dei vari “commenti” sono avvalorate anche dalla diversa terminologia con cui vengono tramandati: Lectura, Reportatio e Ordinatio. Il termine, Lectura, rimanda a degli schemi o appunti, da sviluppare durante l’insegnamento, e costituisce il primo commento dato alle Sentenze; la Reportatio, invece, indica uno scritto composto dai discepoli, desunto dall’insegnamento di Duns Scoto e, in linea generale, da lui approvato; l’Ordinatio, infine, contiene il testo scritto personalmente da Duns Scoto per la pubblicazione, come è documentato dall’edizione critica, che rivela la preoccupazione della stesura definitiva. Tra le opere a carattere logico si segnalano alcuni commentari su Aristotele e Porfirio; a carattere filosofico, i commentari sul De anima e sulla Metafisica di Aristotele; di vario contenuto si ricordano le Collationes, o Conferenze tenute tanto a Parigi quanto a Colonia; il Quodlibet tratta di questioni ben ordinate su temi specifici; i Theoremata espongono delicate tesi di teologia; il Tractatus de primo principio espone le prove filosofiche dell’esistenza di Dio. L’Ordinatio è il capolavoro di Duns Scoto.
IL PENSIERO
Cristocentrismo assoluto
(...) Il cuore del Cristocentrismo è la “predestinazione incondizionata” di Cristo. L’umanità assunta dal Verbo è la prima operazione ad extra di Dio, e come tale Cristo esercita la triplice causalità - efficiente, formale e finale - su tutti gli esseri. Cristo, quindi, è contemplato prima nel piano ontologico e poi nel piano storico. Nella predestinazione di Cristo gravita anche la predestinazione incondizionata di Maria, come verrà confermato prima da Pio IX nella costituzione apostolica Ineffabilis Deus, sulla definizione dogmatica dell’Immacolata Concezione, precisando che Dio “nell’unico e medesimo decreto di predestinazione” ha voluto Cristo e Maria; e poi, anche dal concilio Vaticano II: “Maria è congiunta indissolubilmente con l’opera salvifica del Figlio suo” (SC 103). Di conseguenza, per Duns Scoto, la mariologia è indissolubilmente legata e dipendente dalla cristologia.
Mariologia
(....)L’Immacolata Concezione è il fondamento naturale dell’Assunzione di Maria in cielo, che completa così il treppiede mariano: Maternità, Immacolata e Assunta. In sintonia con il mistero di Cristo, Duns Scoto instaura una perfetta analogia con Maria: come Cristo è morto ed è risorto, così Maria è morta ed è stata Assunta in cielo. Nell’analisi del concetto di “morte”, il Dottor Sottile introduce la distinzione tra diritto naturale e legge morale. Per “diritto naturale”, la morte appartiene a ogni creatura e non ammette eccezioni: “sei polvere e in polvere ritornerai” (Gn 3, 19); invece, per “legge morale”, è una pena del peccato: “la morte è entrata nel mondo per il peccato” (Rm 5, 12). In quanto “creature”, sia Cristo che Maria avevano la “potenza di morire” e di fatto sono “morti”; l’uomo, invece, oltre a essere creatura soggiace anche alla pena del peccato, con tutte le conseguenze del caso. Per Maria, conclude Duns Scoto, la morte appartiene alla legge di natura e non a quella della colpa, per cui la sua morte è da considerarsi come una speciale dormitio, ossia passaggio dal dolce sonno della morte alla beata assunzione in cielo.
Ecclesiologia
Secondo Duns Scoto, la Chiesa ha ricevuto da Cristo, suo Fondatore, due specifiche finalità: “custodire fedelmente” il patrimonio rivelato della Scrittura; e “interpretarlo autorevolmente”, per presentarlo al Popolo di Dio; e di conseguenza, essa è “norma pratica e ultima di fede”. Il mistero della Chiesa è quasi sempre considerato unito al mistero dell’Eucaristia e del Sacerdozio: dove c’è Eucaristia c’è Chiesa, dove c’è Sacerdozio c’è Chiesa. Entrambi i sacramenti costituiscono il cuore e la fonte della vita sacramentale della Chiesa, perché sono la stessa persona del Cristo, mediante i quali egli si perpetua nella storia: “come l’atto più nobile nella Chiesa è assolutamente la consacrazione dell’Eucaristia, così il grado supremo e più nobile…è il sacerdozio” (Ordinatio, IV, d. 24, q. un., n. 7).
Spiritualità
(...)Duns Scoto è non soltanto un pensatore speculativo, ma è anche un maestro di spirito. La sua spiritualità può essere racchiusa in due principi generali: quello biblico di Dio, e quello epistemologico del termine greco episteme; l’uno, è per sé Essere e Azione insieme; e l’altro, contempera nel suo etimo anche il significato di “agire”. Il primo viene interpretato cristocentricamente: “tutto ciò che esiste viene da Cristo e a Cristo deve ritornare”; il secondo, in chiave economico-speculativo: “non bisogna moltiplicare le cose senza necessità” (In Metaphysicam, VII, q. 12, n. 7: “pluralitas non est ponenda sine necessitate”). Principi traducibili nel concetto di praxis, ossia nell’atto della volontà illuminato dalla retta ragione; e, di conseguenza, la conoscenza di una verità teologica se non produce frutti di vita pratica “ad luxuriam reducitur” (Ordinatio, II, d. 6, q. 2, n. 14). Come a dire: una volontà che volesse compiacersi della semplice speculazione della verità, correrebbe il rischio di cadere nella tentazione della lussuria, cioè di crogiolarsi in sé stesso e di sprofondare nelle sabbie mobili; la praxis, invece, ha la potenza dell’amore che trasforma l’amante in amato e l’amato in amante.
Applicando questi principi generali alla vita spirituale, Duns Scoto costruisce il suo itinerario di perfezione interiore, strutturato sul “settenario delle virtù”, che semplifica al massimo il patrimonio dei mezzi di perfezione. Il “settenario delle virtù” è composto da sette virtù: tre teologali - fede, speranza e carità -; e quattro cardinali - prudenza, temperanza, fortezza e giustizia -; e viene infuso con il sacramento del Battesimo, così da assicurare a tutti i battezzati i mezzi necessari per vivere la propria fede nel mondo per non essere del mondo, e partecipare alla vita eterna. Lo spirito che lo alimenta è lo stesso Cristo, cioè “Colui per il quale tutto è stato fatto e senza di lui niente è stato fatto di ciò che esiste” (Gv 1, 3).
In questo modo, Duns Scoto identifica l’origine delle virtù direttamente con lo stesso Cristo. Scrive: “come Cristo sana perfettamente il corpo (Mt 9, 1-6), così sana perfettamente l’anima nelle sue facoltà specifiche: l’intelletto mediante la fede, e la volontà mediante la carità e la speranza” (Ordinatio, III, d. 23, q. un., n. 14). La presenza per infusione delle tre virtù teologiche è garanzia dello stato di perfezione oggettivo dell’uomo, che così viene “restaurato” spiritualmente nella sua immagine di Cristo. A differenza di altri teologi, Duns Scoto afferma: solo “le virtù teologiche e le virtù cardinali hanno origine per infusione, mentre le virtù morali si acquisiscono mediante la ripetizione degli atti” (Ordinatio, III, d. 36, q. un., n. 28). Le virtù morali, benché perfette in sé stesse, sono inabili a condurre l’uomo fino al suo fine ultimo, cioè in ordine al soprannaturale; per agire in ordine al soprannaturale devono essere “informate dalla carità”, a cui servono come disposizione ad agire verso la perfezione. Senza carità, infatti, le virtù morali sono “informe”, mentre sono “formate per e con la carità”.
Benché l’esercizio di ogni singola virtù morale perfezioni l’uomo intorno al fine specifico della singola virtù, tuttavia per raggiungere perfettamente il fine dell’esistenza è necessario la “solidarietà” tra le virtù, ossia la presenza di tutte le altre virtù, che “come sorelle collaborino al raggiungimento della perfezione” (Ibidem, n. 9). Mentre tra le virtù morali può sussistere questa solidarietà, essa può non sussistere nelle virtù teologali. Difatti, Duns Scoto ricorda tre specifiche situazioni: in cielo si avrà la carità senza fede e senza speranza; durante la vita si possono avere fede e speranza senza carità; nell’origine invece vengono infuse tutte e tre insieme per liberalità di Dio, in Cristo (Ibidem, n. 30).?
E poiché le virtù tendono al perfezionamento dell’uomo, sia nei riguardi di Dio che nei riguardi degli uomini e delle cose, esse hanno come unico modello Cristo, di cui l’uomo ne è l’immagine. E così, al centro dell’intero “settenario” delle virtù che “semplicemente perfeziona l’uomo”, Duns Scoto pone il Cristo: in quanto Dio, è unica fonte della grazia, che si trasmette con le virtù teologali; in quanto Uomo, è l’unica misura della moralità dell’uomo, mediante le virtù cardinali. Come a dire: l’immagine imperfetta dell’uomo tende verso l’immagine perfetta del Cristo; l’“immagine tende all’imitazione di ciò di cui è immagine, e di esprimerlo” (Ordinatio, I, d. 3, pars 3, q. 4, n. 2: “imago nata est imitari ipsum cuius est imago, et exprimere illud”). In questo modo, Duns Scoto mette in luce l’origine ontologica della sequela di Cristo, e, seguendo l’insegnamento di Paolo e di Agostino, afferma: “la carità è il dono più eccelso fatto da Dio” e “solo l’atto di carità verso Dio è buono per sé”; e conclude: Dio è da amarsi per sé stesso, perché è Amore infinito: la “carità rende caro Dio all’uomo e l’uomo a Dio”.
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